falsicabilità di una teoria

Il Principio di falsificabilità e i cambiamenti climatici

di Giuseppina Ranalli

Giuseppina Ranalli
Ingegnere chimico e attivista ambientale indipendente, si interessa di fonti energetiche, inquinamento prodotto dalle centrali a biomassa e altre fonti inquinanti. In particolare, si occupa degli effetti causati dalle emissioni degli aerei sul clima e l’ambiente. Coopera con il gruppo di studio dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) che si occupa degli effetti sulla salute causati dalle emissioni degli aerei.

Il “Principio di falsificabilità”, in opposizione al “Principio di verificabilità, è stato sviluppato da Karl Popper, un filosofo della scienza. Tale principio è stato formulato dalla constatazione che esiste una innata tendenza dell’uomo a cercare solo le conferme alle proprie idee

Secondo Karl Popper per evitare di cadere nel dogmatismo, anziché cercare le prove scientifiche che sostengono una certa teoria, occorre fare il contrario: sottoporre la teoria a prove che possano contraddirla. Per Popper il progresso non consiste nell’accumulare certezze e nel cercare di rafforzarle, bensì nell’eliminare progressivamente gli errori.

È dall’esito di ogni verifica che di volta in volta è possibile migliorare, perfezionare o rigettare una teoria. 

Per le sue riflessioni Popper trasse spunto dalla frase di Einstein

«Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato».

Semplificando al massimo, il principio di falsificabilità equivale alla prova del 9 in matematica, una tecnica che verifica se un’operazione matematica (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione) è sbagliata.
La prova non garantisce che il risultato sia esatto, può solo indicare se il calcolo è sbagliato. 

Seguendo la logica di Popper va da sé che è antiscientifico etichettare come negazionista chi esprime critiche o manifesta dubbi su qualunque teoria. Ogni critica basata su argomentazioni logiche dove essere presa in considerazione perché in grado di suggerire esperimenti di falsificabilità a cui sottoporre la teoria. Solo così una teoria può essere definita scientifica e non dogmatica. 

Per la teoria dei cambiamenti climatici si ha la sensazione che una parte del mondo scientifico, o il mainstream, abbia adottato come modalità di indagine non lo spirito critico suggerito da Karl Popper bensì il noto proverbio della cultura popolare italiana “L’eccezione conferma la regola”, nel suo significato più spiritoso e indulgente volto a ritenere che una eccezione addirittura rafforzi la regola. E così, in virtù di un principio antiscientifico, negli anni la narrazione sul clima si è via via rafforzata e adattata.


Un esempio: inizialmente si parlava solo di riscaldamento globale dovuto all’effetto serra. Quando è emerso che i dati non confortavano l’ipotesi si è dato per certo che l’eccezione fosse una conferma, e così è stata ideata una nuova teoria correlata alla precedente: il cambiamento climatico. Questa nuova teoria è in grado di giustificare ogni evento non spiegabile con la teoria del riscaldamento globale. E pertanto, se fa troppo caldo è colpa del riscaldamento globale, se fa troppo freddo è colpa dei cambiamenti climatici. Analogamente se c’è siccità è colpa del riscaldamento globale, se, al contrario, piove copiosamente è colpa dei cambiamenti climatici.

La teoria dei cambiamenti climatici, peraltro, è una combinazione di più teorie correlate fra loro. Nel dettaglio i fattori che entrano in gioco sono: l’aumento della CO2 nell’atmosfera; le cause dell’aumento (naturali o antropiche); l’aumento della temperatura media globale causato dalla CO2; i cambiamenti climatici innescati come effetto del riscaldamento globale. 

Va da sé che, se anche una sola delle teorie elencate fosse priva di fondamento, cadrebbe l’intero castello sui cambiamenti climatici. Tuttavia, sulla base di questo concatenamento di teorie, non provate, si pianificano interventi sociali, economici e ambientali, e dunque è doveroso sollevare ogni critica logica con l’auspicio che sempre più persone pretendano che le varie teorie siano sottoposte a prove di falsificabilità.

In effetti già molti esperti esprimono svariate contestazioni sulle varie teorie proprio per le ragioni esposte. C’è chi ritiene che la CO2 di origine antropica (32 miliardi di tonnellate l’anno, 0,1%) sia trascurabile rispetto alla totalità della CO2 contenuta negli oceani, nel suolo e nell’atmosfera (45.000 miliardi di tonnellate, 99,9%). C’è chi muove contestazioni sull’aumento dell’effetto serra che tiene conto solo della CO2 e non include il vapore acqueo, benché esso sia in assoluto il più potente gas a effetto serra.

Si contesta anche la misurazione della temperatura media globale e chi ritiene inattendibile il confronto della CO2 rilevata oggi in atmosfera, che è un dato puntuale, con quella presente nei ghiacciai, che è invece un valore medio.

Per altre critiche collegate alla CO2, si rinvia al documento “Problema CO2: ecologia o ideologia?”.

Dalla ricerca da me condotta non risultano contestazioni sulla misurazione della CO2 in atmosfera.
Tuttavia, proprio per dimostrare come sia possibile muovere critiche logiche, in grado di suggerire prove di falsificabilità, anche a fenomeni riconosciuti come veri, in questo articolo tratto l’unico argomento che non sembra oggetto di contestazioni. 

L’aumento della CO2 in atmosfera. 

La misurazione costante della CO2 risale al 1958 quando si realizzò un osservatorio sul Mauna Loa nelle Hawaii, uno dei più grandi vulcani attivi del Pianeta. L’osservatorio è della NOAA (l’Agenzia scientifica e normativa statunitense per l’oceano e l’atmosfera). Fu un giovane statunitense di nome Charles David Keeling, convinto sostenitore dell’ipotesi che le attività antropiche causino l’aumento della CO2 in atmosfera, ad iniziare le misurazioni. Egli scelse come luogo ottimale il vulcano Mauna Loa, perché privo di interferenze antropiche, per la sua lontananza dai continenti, e privo di interferenze naturali, per l’assenza di vegetazione.
La CO2 emessa dal vulcano, per il giovane scienziato, non rappresentava un problema perché era possibile fare una stima sottraendo tale dato dal totale della CO2 rilevata.

C. D. Keeling era un convinto sostenitore della teoria dell’aumento della CO2 per cause antropiche e dunque è possibile che le sue prime stime siano state condizionate dal pregiudizio. Non si può neanche escludere che successivamente l’interesse a mantenere il posto di lavoro nel laboratorio abbia condizionato i suoi successori. Escludendo la malafede, e quindi una volontaria manipolazione dei dati, resta l’osservazione di Popper “esiste una innata tendenza dell’uomo a cercare solo le conferme alle proprie idee”.


Secondo le stime elaborate dal NOOA, la concentrazione di CO2 in atmosfera è aumentata negli ultimi cento anni dello 0,01%, passando da 0,03% a 0,04%. 

La concentrazione di un componente in una miscela è il rapporto tra la quantità del componente in esame rispetto alla quantità totale di tutti i componenti della miscela. Nel caso dell’aria la concentrazione di CO2 è il rapporto fra le moli di CO2 e il totale delle moli di tutti i gas presenti. La misurazione si effettua sull’aria secca, cioè aria a cui è stato tolto il vapore acqueo.

In media l’aria secca misurata al suolo ha questa composizione: 78,09% di azoto (N2), 20,9% di ossigeno (O2), 0,93% di argon (Ar), 0,04% di anidride carbonica (CO2). Risultano presenti numerosi altri gas con percentuali ancora più basse.

È bene precisare che l’aumento della concentrazione non è una prova che la CO2 in atmosfera sia realmente aumentata. Essendo un rapporto percentuale fra due grandezze, l’aumento potrebbe registrarsi se diminuisce il denominatore. Potrebbe essere diminuito l’azoto, ad esempio, che è preponderante nella miscela di gas.
Da quanto risulta sul sito del NOAA si monitora costantemente la CO2, mentre non risultano monitoraggi analoghi per l’azoto (N2). Va ricordato che dal 1920 si preleva l’azoto dall’atmosfera per produrre fertilizzanti chimici che arricchiscono i suoli di azoto. Questo prelievo potrebbe incidere sulla composizione dell’aria e conseguentemente sulla concentrazione di CO2. 

Analogo ragionamento può essere fatto per l’ossigeno, gas fondamentale per la vita di tutti gli esseri viventi aerobici, e prodotto di scarto della fotosintesi clorofilliana.

È mai stato calcolato quando ossigeno in meno si produce a causa delle deforestazioni e come questa diminuzione influenzi la composizione dell’aria? È mai stato calcolato quanto ossigeno è sottratto dall’atmosfera nei processi di combustione?

Infatti, se è vero che il carbonio delle fossili produce anidride carbonica è anche vero che si consuma ossigeno.
La reazione chimica è infatti: C + O2 = CO2. Ad ogni molecola di CO2 prodotta che va in atmosfera deve corrispondere una molecola di O2 sottratta dall’atmosfera. 

Come è evidente, sarebbe possibile condurre prove di falsificabilità anche sull’aumento della CO2 nell’atmosfera, benché il fenomeno sia considerato un fatto. 

Va evidenziato, invece, che anche quando sull’aumento della CO2 in atmosfera sono state rilevate delle incongruenze, rispetto alle previsioni o ai valori attesi, si è cercata una giustificazione. Una di queste, valida sempre, è la cosiddetta retroazione, un meccanismo che amplifica o diminuisce gli effetti di un cambiamento. Se in un anno diminuiscono le emissioni di CO2, ma parallelamente non si riscontra in atmosfera una analoga diminuzione, ecco che si parla di retroazione negativa. Se accade il contrario allora si afferma che c’è stata una retroazione positiva.

Concludo con una riflessione: la scienza non dovrebbe temere le critiche alle teorie, anzi dovrebbe sollecitarle: è invece l’esatto contrario, si demonizza chi esprime perplessità.

Questa non è scienza ma fanatismo.

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