Impatto economico degli NGT. I rischi per l’agricoltura italiana

Studio a cura di Associazione Rurale Italiana
per la crescita della società civile, un’agricoltura contadina socialmente giusta ed un corretto utilizzo di tutte le risorse naturali rispettoso della biodiversità, attento ad una produzione ecologicamente durevole per la Sovranità Alimentare.
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In risposta a quelli che: “Ci sono problemi da affrontare. E ci vogliono cultivar moderne, più efficienti,
ci vuole la genetica, ci vuole studio, dati, esperimenti, misure in campo, non opinioni. E ci vogliono persone disposte a provare cose nuove” proponiamo un approfondimento – con studio, dati e misure – sull’impatto economico dei prodotti dell’edizione del genoma. D’altra parte le “cose nuove” avvengono ogni giorno nei campi, nelle stalle, nei piccoli laboratori delle aziende contadine.

La prova di questa capacità di innovare sta nelle mille forme di resistenza dell’economia contadina del nostro Paese che se non avesse innovato in questi anni sarebbe sparita completamente mentre oggi continua ad occupare quasi 1,5 milioni di persone.

I paesi “GMO free” dominano l’agricoltura europea

Premessa: La questione delle “NBT” non è solo una questione scientifica – come tale riguarda
essenzialmente ricercatori e accademici – ma una parte fondamentale del pacchetto tecnologico da
applicare allo sviluppo del sistema agroalimentare, con tutte le sue ripercussioni sociali, ambientali,
ecologiche ed economiche.
Si tratta quindi di una questione squisitamente politica: cosa una società vuole mangiare, come vuole
che il suo cibo sia prodotto, quali garanzie vuole ottenere dai processi produttivi, come vuole
affrontare il cambiamento climatico ma anche la crisi economica e sociale che stiamo attraversando.

Paesi dell’UE “gmo free”
Diciannove dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea hanno votato per il divieto parziale o totale
della coltivazione degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM). Ciò è avvenuto dopo che
la Commissione europea ha chiesto che ogni nazione dell’UE decidesse se voleva rinunciare a
coltivare OGM anche se era consentito farlo all’interno dei confini dell’UE. Francia, Germania,
Austria, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Bulgaria, Polonia,
Danimarca, Malta, Slovenia, Italia e Croazia hanno scelto il divieto totale. La Vallonia, la regione francofona del Belgio, ha optato per l’esclusione, così come la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord.
Finora l’unica coltura GM coltivata nell’UE (soprattutto in Spagna e Portogallo) è il mais GM
MON 810, prodotto dalla multinazionale Monsanto (oggi Bayer).
Nel 2018, circa 9,2 milioni di persone hanno lavorato nell’UE nel settore dell’agricoltura, della caccia
e dei servizi correlati. La stragrande maggioranza (96,3% nel 2016) delle aziende agricole dell’UE
sono classificate come aziende a conduzione familiare.

Due terzi delle aziende agricole dell’UE avevano una dimensione inferiore a 5 ettari nel 2016. Sebbene la dimensione media di un’azienda agricola nell’UE fosse di 15,2 ettari nel 2016, solo il 16% circa delle aziende agricole era di queste dimensioni o superiore.
Nei paesi “gmo free” lavorano in agricoltura – formalmente rilevati – 5.645.000 di persone a
cui vanno aggiunti gli addetti agricoli delle regioni come Scozia, Wales, Irlanda del Nord e Wallonia
di cui non disponiamo dettagli. Possiamo considerare che più di 6 milioni di persone lavorano nelle
agricolture che hanno scelto “gmo-free”, cioè 2/3 degli addetti totali nel settore. (Dati 2020
EUROSTAT).


Produzioni di qualità con certificazione
L’UE si distingue per avere una parte della produzione agricola strettamente regolamentata da disciplinari che escludono l’uso di OGM anche in paesi in cui è formalmente possibile coltivare OGM. La produzione biologica ricade sotto questa disciplina, un modo di produzione in costante crescita.
Il nuovo piano europeo per l’estensione delle aree coltivate ad agricoltura biologica propone 23
azioni basate su tre aree chiave: incoraggiare il consumo, aumentare la produzione e continuare
a migliorare la sostenibilità del settore, al fine di garantire una crescita equilibrata.
Lo sviluppo del
mercato europeo del biologico ha subito un’accelerazione negli ultimi anni. Le ragioni principali sono
la maggiore consapevolezza dei legami tra cibo e salute e il maggiore interesse dei consumatori
europei per lo sviluppo sostenibile.
Germania, Francia e Italia sono i Paesi con il maggior numero di negozi specializzati in prodotti
biologici. Il consumo di prodotti biologici continua ad aumentare.
La superficie coltivata a biologico nell’UE è aumentata del 6,3% nel 2019, raggiungendo i 14,7 milioni
di ettari. L’agricoltura biologica ha rappresentato circa l’8,1% della SAU europea nel 20191.

Alla fine del 2019, nell’UE erano registrate 343.605 aziende agricole biologiche, con un aumento del
5,4% rispetto al 2018. Secondo le prime stime, nel 2020 oltre 354.000 aziende agricole biologiche
coltivavano più di 15,3 milioni di ettari nell’UE e nel 2019 l’8,1% della superficie agricola dell’UE era
coltivata con metodo biologico. Inoltre, nel 2019 nell’UE c’erano quasi 65.600 trasformatori biologici.
Le tre principali categorie di prodotti biologici trasformati sono frutta e verdura, cereali e prodotti
lattiero-caseari, tutte produzioni estremamente rilevanti per l’agricoltura italiana.
Nel 2019, gli esportatori di prodotti biologici nell’Unione europea erano più di 3.100. Questa cifra è
sottostimata perché non è noto il numero di esportatori biologici della Francia. Nel 2019, la Germania
rappresentava il 41% degli esportatori biologici nell’UE e l’Italia il 24%.

Il consumo di prodotti bio
Il consumo di prodotti biologici è calcolato in quasi 45,2 miliardi di euro per il 2019, con un aumento
complessivo del 10,3% rispetto al 2018. Tra il 2004 e il 2019 è più che quadruplicato. La stima
provvisoria – in attesa di dati – per l’Unione Europea per il 2020 è di oltre 50 miliardi di euro.
Alcuni esempi. Il mercato tedesco del biologico è cresciuto di 7,3 volte in vent’anni e di 2,5 volte in
dieci anni, raggiungendo 14,99 miliardi di euro (esclusa la ristorazione) nel 2020. Il mercato del
biologico crescerà del 22,3% nel 2020 (rispetto al +12,4% del 2019). La pandemia ha aumentato la
domanda di prodotti biologici. La quota di mercato dei prodotti biologici è stata stimata al 6,4% per
il 2021.
Il mercato francese dei prodotti biologici ha raggiunto i 13,2 miliardi di euro nel 20201. È cresciuto
di tredici volte in vent’anni. Tra il 2012 e il 2020, la crescita del consumo di prodotti biologici ha subito
un’accelerazione, quasi triplicando in questo periodo. Nel 2020, il mercato dei prodotti biologici è
cresciuto di oltre il 10% rispetto al 2019. Si tratta del 7° anno consecutivo di crescita a due cifre. La
quota di mercato dei prodotti biologici (escluso il foodservice) ha raggiunto il 6,5% nel 2020 (rispetto
al 6,1% del 2019).
Storicamente, la produzione biologica italiana era principalmente orientata all’esportazione.
Tuttavia, il mercato interno è cresciuto notevolmente. In quindici anni è quasi quadruplicato.
Nell’anno 2021 – fino alla fine di luglio 2021 – il mercato biologico italiano era cresciuto del 4,9%,
raggiungendo i 4,57 miliardi di euro. La quota di mercato dei prodotti biologici è stata del 3,4% negli
ipermercati e nei supermercati.

Le coltivazioni biologiche
Nel 2019, la superficie dei seminativi coltivati con metodo biologico nell’Unione Europea è aumentata
dell’8,3% rispetto al 2018, superando i 3,1 milioni di ettari. Ciò rappresenta un aumento complessivo del 65% in 7 anni.
Più di 11.000 ettari di barbabietola da zucchero sono stati coltivati con metodo biologico nell’Unione
Europea nel 2019 (+58% rispetto al 2018). Ciò rappresenta lo 0,7% della superficie coltivata a barbabietola da zucchero dell’UE nel 2019.
La superficie di ortaggi freschi (comprese patate e fragole) coltivati con metodo biologico ammontava a quasi 242.000 ettari nel 2019 (+3% rispetto al 2018). Questo rappresenta solo l’1,6% della superficie biologica dell’UE nel 2019 e il 6,1% della superficie dedicata agli ortaggi.
L’Italia è il principale produttore di ortaggi freschi e fragole biologiche, con il 28% della superficie europea nel 2019.
La superficie di frutta coltivata con metodo biologico nell’Unione Europea ammonta a quasi 1,1
milioni di ettari nel 2019 (+4,5% rispetto al 2018). Nel 2019, le superfici destinate alla frutta hanno
rappresentato il 7,3% delle superfici coltivate con metodo biologico nell’Unione Europea.
Il principale Paese produttore è la Spagna, con il 38% dei frutteti biologici dell’UE nel 2019,
ovvero 411.651 ettari. Nel 2020, il frutteto spagnolo dedicato alla frutta biologica è cresciuto dell’11%.
L’Andalusia è rimasta la regione principale per la produzione di frutta biologica in Spagna nel 2019
e nel 2020 (quasi il 40% dei frutteti biologici spagnoli nel 2020). L’Italia è al secondo posto, con
367.202 ettari nel 2019 (+1,5% rispetto al 2018), ovvero il 34% del frutteto biologico dell’UE.
Profumi, piante aromatiche e medicinali: oltre 85.900 ettari coltivati con metodo biologico nell’UE
nel 2019.
I vigneti biologici dell’UE sono cresciuti del 10% nel 2019, superando i 379.800 ettari. Ciò significa
che i vigneti hanno rappresentato il 2,6% della superficie coltivata con metodo biologico nell’UE nel

Il 12,1% dei vigneti dell’UE è stato coltivato con metodo biologico nel 2019. Nel 2019, il 90%
dei vigneti biologici dell’UE si trovava in Spagna, Francia e Italia. Entro il 2020, i vigneti biologici
nell’UE dovrebbero superare i 422.000 ettari, dato in attesa di conferma.
Più di 4,8 milioni di bovini (latte e carne) sono stati certificati biologici nell’Unione Europea nel
2019, con un aumento del 4,5% rispetto al 2018. Il 5,5% del patrimonio bovino dell’UE è stato
certificato biologico nel 2019. Quasi 986.600 vacche da latte sono state certificate biologiche
nell’UE nel 2019 (+5,4% rispetto al 2018), rappresentando più del 4% della mandria.

La produzione di latte biologico nell’UE è stimata in quasi 5,9 milioni di tonnellate per il 2019, pari al 3,5% della produzione totale di latte vaccino. Secondo le prime stime, la produzione di latte biologico si
avvicinerà a 6,1 milioni di tonnellate nel 2020.
Più di un milione di capre sono state certificate biologiche nell’Unione Europea nel 2019 (+6,9%
rispetto al 2018). Ciò rappresenta l’8,5% del patrimonio zootecnico dell’UE.
Più di 5,1 milioni di pecore sono state certificate biologiche nell’UE nel 2019, rappresentando il
5,2% del gregge ovino. Il loro numero è diminuito dell’11,1% nel 2019 rispetto al 2018. Nel 2020
sono state prodotte nell’UE quasi 40.900 tonnellate di latte ovino biologico (con un aumento del 9,1%
rispetto al 2019). Il 77% della produzione è stato localizzato in Francia e il 14% in Spagna.
Più di 1,5 milioni di suini sono stati certificati biologici nell’UE nel 2019 (+10,6% rispetto al 2018),
rappresentando l’1,0% del patrimonio zootecnico dell’UE.
Nel 2019, più di 56,7 milioni di pollame sono stati certificati biologici nell’UE (+9,5% rispetto al
2018).
L’Italia ha di sicuro una collocazione fondamentale nel mercato dei prodotti bio, sia nel mercato
interno che in quello internazionale, e nella produzione che può continuare a crescere per rispondere
alla domanda.


Prodotti di qualità certificata e loro valore
In Europa, i loghi ufficiali sono utilizzati per riconoscere i prodotti alimentari che hanno ottenuto un
marchio ufficiale di qualità e di origine: DOP/IGP/GTS4.
Prodotti DOP/IGP/IGT il cui disciplinare vieta gli OGM e il loro valore complessivo.
Secondo i dati per il 2021, “Il valore complessivo alla produzione ammonta a 19,1 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2020 del +16,1% e pari al 21% del totale fatturato del settore agroalimentare Italiano. L’agroalimentare vale 7,97 miliardi, in crescita del +9,7%, il vitivinicolo vale 11,2 miliardi e cresce del +21,2%.
I dati delle vendite nella GDO confermano una grande tenuta per questi prodotti, praticamente stabili. E naturalmente, l’export, che per DOP e IGP nel 2021 vale 10,7 miliardi di euro pari al 21% sul totale dell’export agroalimentare italiano, è in crescita a doppia cifra sia per il cibo che per il vino, rispettivamente +12,5% e +13%”5.
Secondo il Rapporto sopra citato, l’Italia riconosce 845 riconoscimenti totali, 526 riconoscimenti nel
Vino, 319 riconoscimenti nel Cibo, con 291 Consorzi di tutela, 85.601 operatori Cibo e 113.241
operatori Vino
.
Questo tipo di etichettatura è riconosciuto sulla base di disciplinari, molti dei quali prevedono
formalmente l’esclusione di OGM nella produzione o nella trasformazione. Separare i disciplinari che
non prevedono espressamente l’uso degli OGM (alcuni di questi disciplinari sono stati elaborati
quando la questione OGM non si poneva) dagli altri non è semplice. Inoltre sicuramente i prodotti
SGT per la loro natura non prevedono l’uso di OGM in quanto tradizionalmente non venivano
realizzati con l’uso di OGM (pratiche produttive con una lunga tradizione).
Il 20 aprile 2020, la Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione
europea ha pubblicato uno studio sul valore economico dei prodotti dell’Unione europea con
indicazioni geografiche – IG (che comprendono DOP, IGP e IG per le bevande spiritose) e STG. Lo
studio copre il periodo 2011-2017 e si basa sui 3.207 prodotti IG e STG registrati nei 28 Stati membri
dell’UE in quel momento. Mostra che il valore dei prodotti IG europei (quando immessi sul mercato)
ha raggiunto i 74,76 miliardi di euro nel 2017, con un aumento del 37% nel periodo 2010-2017, rispetto al periodo 2005-2010. A questa cifra significativa si aggiunge il valore delle vendite dei prodotti STG, pari a 2,3 miliardi di euro.
Cinque Stati membri hanno registrato un valore delle vendite di prodotti IG superiore a 5 miliardi di euro ciascuno: Francia, Italia, Germania, Regno Unito e Spagna. Il valore delle esportazioni complessive (commercio intra-UE ed esportazioni verso Paesi terzi) di prodotti IG/TSG è stato stimato in 32,10 miliardi di euro, pari al 42% del valore totale delle vendite nel 2017 (20% per il commercio intra-UE e 22% per le esportazioni verso Paesi terzi).
“L’Italia si candida a pieno titolo a diventare a livello internazionale il riferimento per uno
sviluppo economico sostenibile attraverso il Sistema delle Indicazioni Geografiche”

Lavoratori impiegati nella produzione senza OGM, biologica o certificata come tale.
Il rapporto tra produzione standard e unità di lavoro annuo (ULA) della manodopera agricola aumenta insieme alle dimensioni dell’azienda, sia per le aziende biologiche che per quelle non biologiche. Tuttavia, per le aziende agricole al di sotto dei 20 ettari, il rapporto è maggiore solo per le aziende biologiche che per quelle non biologiche. Il rapporto si sposta poi a favore delle aziende non biologiche quando le dimensioni dell’azienda superano i 20 ettari. In totale, il rapporto è leggermente più alto per le aziende biologiche perché ci sono più aziende al di sotto dei 20 ettari rispetto a quelle che superano tale soglia. Detto diversamente: le aziende biologiche che hanno un’efficienza del lavoro migliore sono quelle sotto a 20 ettari, in cui superano le aziende non biologiche.
La ricerca di dati specifici è difficoltosa e richiede molto tempo. In sintesi – come abbiamo già ricordato – sommando gli addetti all’agricoltura dei soli paesi “gmo free” questi rappresentano 2/3 del totale degli addetti in agricoltura. A questi andrebbero sommati gli addetti al settore dell’agricoltura biologica nei paesi che non sono “GMO free” (vedi il caso della Spagna).

L’Italia e la sua agricoltura
Il biologico vale 3,6 miliardi in Italia (4% del totale del settore agroalimentare), e 19,1 miliardi di euro è il valore della produzione agroalimentare e vinicola certificata DOP, IGP e STG nel 2021. Questi valori sono propri di produzioni certificate prive di OGM. Inoltre, per default, l’intero valore della produzione agricola italiana (Produzione totale della branca Agricoltura nel 2022 è stata di 72,3 miliardi di €) profitta di una etichetta di “GMO free” da 20 anni, sia sul mercato nazionale che sui quello internazionale. Tutto questo grazie all’applicazione della legislazione comunitaria esistente, in particolare la direttiva 2001/18/CE e delle norme italiane che dal 2000 hanno costruito un “agricoltura priva di OGM”.

La struttura produttiva ed il rischio della contaminazione delle produzioni
A ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole. Nell’arco dei 38 anni intercorsi dal 1982 – anno di riferimento del 3° Censimento dell’agricoltura, i cui dati sono comparabili con quelli del 2020 – sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. La riduzione è stata più accentuata negli ultimi vent’anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era pari a quasi 2,4 milioni. Nel 2020, il 93,5% delle aziende agricole è gestito nella forma di azienda individuale o familiare. In effetti delle 873.977 aziende con una dimensione inferiore ai 10 ettari, meno di un quarto sono al Nord, il 15% al Centro ed il 60% nel mezzogiorno (cioè 527.293 aziende). Il numero più alto di aziende con una dimensione superiore ai 100 ettari lo troviamo in Piemonte (1.688). Lombardia (2.123), Veneto (1.003), Emilia-Romagna (1.676), Puglia (1.291) Sicilia (1.579) e Sardegna (2.575). In Italia tali aziende sono 18.230 (pari al 1,6% del totale delle aziende) e si dividono un totale di 3.721.529, cioè il 30% della SAU nazionale.

Al contrario, le aziende con una dimensione inferiore a 20 ettari sono disperse in tutto il territorio nazionale a riprova che la maglia poderale resta fortemente influenzata dalla dimensione piccola o media delle aziende. In particolare il numero estremamente elevato della aziende con una dimensione inferiore ai 5 ettari – sono il 63% del numero totale delle aziende e sono distribuite sul tutto il territorio nazionale (vedi nostro grafico con i dati del 2020) rende impossibile qualunque misura di difesa della biocontaminazione (distanziamento delle colture, etc).

Più in generale neanche le aziende di grandi dimensioni, quelle con 10 ULA e oltre, hanno una grossa voglia di investire nelle innovazioni, infatti il 42% non effettuano investimenti innovativi (ISTAT) e, comunque, “La dimensione aziendale ha rappresentato un fattore discriminante per la resilienza delle aziende agricole. Considerando la dimensione in termini di manodopera, la percentuale di aziende con almeno 10 ULA che hanno dichiarato effetti dalla pandemia è stata del 58,8%, cinque volte più alta rispetto a quella rilevata per le aziende più piccole, fino a 1 ULA (11,6%)” (ISTAT, 2022).

Danni al sistema sementiero nazionale
Secondo ASSOSEMENTI (2017) “Sulla base degli ultimi dati disponibili, sono importate in Italia sementi per un valore di circa 360 milioni di euro, mentre le esportazioni ammontano a circa 255 milioni di euro. Tradizionalmente l’Italia esporta sementi orticole, foraggere e di barbabietola da zucchero.” Siamo un paese che ha un deficit di sementi convenzionali ma anche con un importante export di sementi convenzionali.
Complessivamente il settore sementiero conta su circa 300 aziende, di queste 80 commercializzano specie orticole. Il valore del mercato delle sementi all’ingrosso nel nostro Paese sfiora i 700 milioni di euro, escluso il valore dei trattamenti. Le superfici investite per la moltiplicazione di sementi di specie agrarie, orticole e aromatiche sono concentrate soprattutto in Emilia-Romagna con circa 6mila aziende agricole altamente specializzate e una superficie totale di circa 55 mila ettari (di cui 39 mila di specie agrarie, 10mila di orticole e 6mila di barbabietole da zucchero). A livello nazionale, l’attività di moltiplicazione vede coinvolte oltre 19 mila imprese agricole con una superficie di 208 mila ettari per le specie agrarie e 33 mila ettari per le specie orticole (dati Assosementi, 2023). La produzione di sementi di cereali a paglia nel 2020 ha riguardato circa 108 mila ettari in Italia e con 203 milioni di euro rappresenta, per il settore sementiero italiano, la seconda voce in termini di un fatturato totale che nel 2020 ammontava a 1 miliardo di euro. (Assosementi)
Nel 2021 sono stati oltre 36 mila gli ettari destinati alla produzione delle sementi ortive e aromatiche in Italia, facendo registrare nel complesso una crescita del 10% rispetto all’anno precedente e del 28% considerando le sementi prettamente ortive. Un dato che conferma la posizione di leadership del nostro paese a livello europeo in questo comparto. È quanto emerge dall’indagine condotta da Assosementi, l’Associazione che rappresenta le aziende sementiere italiane.
Verificare le distanze, in particolar modo per le specie che “hanno bisogno del polline maschile sulla pianta femminile” come afferma Alberto Lipparini, direttore di Assosementi, “è quindi imprescindibile”. E non basta la tecnologia digitale. Le distanze verificate dal progetto Mappatura delle sementi sono le distanze “indicate dal livello minimo prudenziale di legge o comunque quelle indicate dagli stessi operatori, le ditte sementiere, che hanno un grado di prudenzialità ancora più elevato” spiega Lipparini. In Emilia Romagna il tutto è supportato dalla legge regionale n.2 del 19 gennaio 1998 “Norme per la produzione di sementi di piante allogame e non allogame. ” che appunto norma la produzione di sementi e “interviene qualora non ci sia il giusto rispetto delle distanze, andando a verificare la situazione e inducendo chi non ha rispettato gli accordi a porvi rimedio, che vorrebbe anche dire distruggere la coltura. Così come vigila che non ci siano coltivazioni che nascono improvvisamente, senza essere state segnalate, e in quel caso appunto interviene a tutela di quelle che sono le produzioni sementiere di qualità”.
Il rischio di contaminazione è quindi è elemento fondamentale anche nella produzione di sementi convenzionali. A maggior ragione, una contaminazione da prodotti NGT deregolamentati e non tracciati, aumenta il rischio distruggendo la qualità delle sementi convenzionali dove la purezza varietale è uno dei cardini fondanti del mercato.

Conclusioni
I possibili danni economici e occupazionali per l’agricoltura contadina e le false promesse delle NGT deregolamentate.

Il sistema agricolo ed agroalimentare europeo è estremamente diversificato sia nei singoli SM, che nelle regioni o per la specializzazione produttiva. Elementi condivisi però sono una presenza massiccia di aziende agricole di piccola e media dimensione sia economica che in termini di SAU. L’introduzione di OGM deregolamentati produrrebbe una rottura (contaminazione) di sistemi produttivi consolidati che vivono grazie alla realizzazione di una produzione con scarsa dipendenza dal mercato degli input di produzione (scarsa capitalizzazione e ridotto flusso di cassa).

“L’agricoltura contadina, di autoconsumo e per l’approvvigionamento del commercio locale saranno seriamente colpiti dalla disgregazione del tessuto sociale e delle attività economiche delle aree rurali, dove integrano sia il reddito necessario alla famiglia sia i cicli produttivi…”. (Banca
Mondiale, 2002).

In questo contesto, le valutazioni d’impatto dei NGT fatte in laboratorio, le affermazioni relativa alla loro “sostanziale equivalenza” con prodotti ottenuti da una creazione varietale tradizionale o dalla selezione contadina, non hanno un gran significato poiché non tengono conto della struttura produttiva del comparto agricolo italiano (o europeo) ne tengono conto – in nessun modo – dell’impatto economico su una grande maggioranza delle aziende agricole, considerando che le grandi aziende che praticano l’agricoltura industriale e che si dichiarano pronte ad accogliere in nuovi OGM sono un’irrilevante minoranza sia in termini di occupati che di valore totale della produzione realizzata. Pertanto riteniamo che per ogni introduzione di OGM, vecchi o nuovi, si debba introdurre una sistematica valutazione di impatto sui sistemi agrari europei e nazionali.

Applicare il quadro normativo vigente.
Ci saranno sicuramente danni economici prodotti dalla deregolazione dell’utilizzo e della sperimentazione in pieno campo dei prodotti NGT che al momento è difficile quantificare ma che saranno rilevanti poiché impatteranno su settori chiave dell’agricoltura italiana. Chi pagherà i danni?
“Nel 2021, Holmes è stata processata in California per frode. Grazie alle rivelazioni degli informatori
e alle ricerche di un giornalista del Wall Street Journal, è emerso che più di 200 esami del sangue
pubblicizzati da Theranos non potevano essere eseguiti sulla macchina “Edison” appositamente sviluppata dall’azienda, mentre i risultati dei pochi esami che poteva gestire erano viziati e inaffidabili. Ai pazienti sono state fatte diagnosi errate, dal diabete al cancro. Holmes aveva anche promesso agli investitori un profitto aziendale molto più alto di quello effettivamente realizzato da Theranos. Il 3 gennaio 2022, Holmes è stata dichiarata colpevole di quattro capi d’accusa per aver frodato gli investitori: tre per frode telematica e uno per associazione a delinquere finalizzata alla frode telematica. Nel novembre 2022 è stata condannata a 11 anni di carcere.”

Scarica il pdf del rapporto

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