La dea Amaterasu

La dea Amaterasu

Tutti sanno che l’imperatore del Giappone discende da una dea, Amaterasu Omikami, la dea del sole, ma è meno noto che all’importanza di questa divinità corrispondeva un potere femminile che in Giappone è durato più a lungo che nel resto del mondo. 

La storia della dea è narrata per la prima volta nel Kojiki (Cronaca di antichi avvenimenti, 712 d. C., tradotto in italiano con il titolo: Kojiki. Un racconto di antichi eventi, a cura di Paolo Villani): nasce dal lavacro dell’occhio sinistro del dio Izanagi, creatore ( o meglio, genitore) del mondo insieme alla sua sorella e moglie Izanami, mentre si lavava per purificarsi dopo essere fuggito dal regno dei morti. Dall’ occhio destro nasce il dio della luna, Tsukiyomi, e dal naso il dio Susanoo.

Izanagi affida ad Amaterasu il governo del cielo (e inoltre le dona la sua collana di perle), a Tsukiyomi (che scompare dalla storia) quello della notte, e a Susanoo quello dei mari, ma Susanoo si ribella, rivelando da subito il suo carattere violento e bellicoso e provocando l’ ira del padre, che decide di mandarlo in esilio.

A partire da qui, una parte importante della narrazione del Kojiki è dedicata alla rivalità tra Amaterasu e Susanoo, che riflette la rivalità tra i clan di Yamato e Izumo per assicurarsi il governo del Giappone. L’antropologo Massimo Ligori vede in questo conflitto anche l’opposizione tra i valori del “crudo” e del “cotto”, cioè tra l’attività di lavorazione del metallo, e quindi di fabbricazione delle armi, e l’attività della tessitura, a cui sovraintende Amaterasu, oltre che all’agricoltura.

Su Amaterasu c’è un mito importante, non solo per quello che la riguarda, ma per altre ragioni che vedremo: indignata dopo che la violenza di Susanoo ha passato i limiti, si nasconde in una grotta e il mondo cade nell’ oscurità.

Per farla uscire, gli altri dèi chiamano la dea Ame no Uzume, che si mette a danzare in un modo osceno, provocando le loro risate. Amaterasu si avvicina per vedere cosa sta succedendo e gli dèi la tirano fuori dalla grotta.

In quest’occasione si fabbricano anche lo specchio e il gioiello magatama, due dei tre tesori imperiali che poi la dea riceverà in dono (il terzo, la spada, le sarà donato da Susanoo). Susanoo è mandato in esilio dagli dèi. Poi, Amaterasu invia i suoi figli sulla terra perché la governino, ma le cose si complicano e solo suo nipote, Ninigi no mikoto, riuscirà ad essere il primo imperatore del Giappone. Amaterasu gli dona i tre tesori e gli raccomanda in particolare lo specchio, perché è lei stessa. Lo specchio è custodito nel Santuario Esterno di Ise dal regno dell’imperatrice Jitō (686-697). 

L’istituzionalizzazione della religione shintoista andò incontro ad un declino con l’ascesa del buddhismo e le guerre che scossero il Giappone per cinque secoli, dalla fine del XII all’inizio del XVII, ma il culto di Amaterasu non perse mai la sua vitalità, nemmeno tra le classi popolari.

È una dea potente, ma benevola, protettrice dell’agricoltura.

Secondo il missionario Tiziano Tosolini, la sua superiorità si esprime così: “Se dovessimo prendere come esempio un albero, potremmo dire che lo spirito primordiale Ama-no-mi-naka-nushi-no-kami è la radice, Amaterasu il tronco e le miriadi di esseri i rami e le foglie. La superiorità e priorità attribuita ad Amaterasu, perciò, non sarebbe ontologica, come se questa divinità fosse preesistente rispetto alle altre, ma piuttosto funzionale: è attraverso di lei che la forza creatrice si diffonde e continua a liberarsi nel mondo, ed è in lei che le varie attività svolte dalle altre divinità confluiscono e rifluiscono ordinatamente”.

La benevolenza e la tolleranza di Amaterasu sono viste dalla studiosa giapponese Okano Haruko (secondo l’usanza giapponese, il cognome precede il nome) come l’incarnazione di un “principio materno” che sarebbe la caratteristica distintiva della società giapponese, e l’ha fatta preferire ad Izanami, che è una figura più attiva e anche aggressiva: Izanagi fugge dal regno dei morti per salvarsi dalla sua furia, dopo aver violato il divieto di guardarla ed essere inorridito vedendola morta e decomposta.

Se qualcuno notasse in questo mito qualche somiglianza con il mito di Orfeo ed Euridice, non sbaglierebbe: esiste uno studio (Castrese Cacciapuoti, Dèi del Giappone tradizionale. Strutture ideologiche indoeuropee nei miti dello Shintō) che parla proprio di queste affinità.

In ogni caso, il politeismo greco e lo shintoismo hanno molto in comune, non tanto per influenze reciproche quanto perché sono religioni “pagane”: entrambe hanno una mitologia ricchissima a fronte di una teologia molto povera, e in entrambe la nascita del mondo è avvenuta non per creazione, ma per generazione, usando la distinzione di Fosco Maraini: “La creazione è atto della volontà e della mente…, comporta fin dal suo lampo iniziale un distacco tra creatore e creatura; la generazione coinvolge emozioni, passioni, fisiologia di corpi, trasmette linfe e calori, tenerezze e somiglianze. …La generazione coinvolge radici e fronde in un organismo la cui essenza fondamentale è unitaria”.  

Nel prossimo post parlerò del potere delle donne come miko (sciamane). 

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