La giustizia al tempo del covid-19 Parte 2

| Manuela Serantoni |

Di Marco Mamone Capria

Pubblichiamo lo studio del Prof Marco Mamone Capria, Phd Dipartimento di Matematica, Studioso di storia e filosofia della scienza sul tema “Covid-19 e giustizia: una scienza “a misura di governo” cerca ancora di seminare confusione nell’opinione pubblica”.

L’articolo, per facilitare la lettura è diviso in 4 parti, la versione completa è scaricabile a questo link. Qui potete leggere la Parte 1.

Parte 2

  • Irrazionalismo giuridico e obbedienza
  • Oracoli

Irrazionalismo giuridico e obbedienza

In questi tre anni si è più volte assistito al triste spettacolo di funzionari e giuristi che si sono lasciati andare a ragionamenti che ci riportano… al Medio Evo? No, a epoche e culture ben più confuse dal punto di vista della logica.

Leggere nel testo di una legge qualcosa che non c’è, ma sapendo che con tale sovrainterpretazione si obbedisce servizievolmente a “volontà non scritte”, e ripromettersene qualche tipo di ricompensa, è una consuetudine propagatasi in vari ambienti, istituzionali e no. Corrisponde a ciò che si intende comunemente con “essere più realisti del re”: di solito quando ci sono fautori di questo tipo, il re (vero o metaforico) è contento, perché certe norme non avrebbe osato enunciarle esplicitamente, e il “lavoro sporco” di sovrainterpretazione viene fatto appunto per evitargliene il fastidio a parità di effetto normativo. Se poi scoppia una protesta sufficientemente rumorosa, il re potrà precisare che lui quella certa interpretazione della legge non l’aveva mai autorizzata, e a questo punto anche i “più realisti del re” faranno (tutti insieme) un passo indietro. Come si dice, loro “ci avevano provato” – e già questo, in una logica di servilismo opportunista, vale un’onorificenza.

Per esempio. Nessuna legge o decreto ha mai prescritto di non tenere nelle università seminari su Dostoevskij. Oppure di non far esibire nei teatri musicisti classici con idee politiche critiche dell’attuale governo ucraino.

Diciamolo chiaramente: anche a scriverlo come ipotesi fantapolitica ci si sente ridicoli.

Eppure il rettore dell’università di Milano-Bicocca e vari direttori di teatri italiani hanno fatto precisamente questo, evidentemente per rendersi graditi a chi ha spinto l’Italia verso l’appoggio militare all’Ucraina, peraltro in disaccordo con la maggioranza dei cittadini italiani (al 22 marzo 2023, solo il 21% era a favore degli aiuti militari al governo di Kiev). Ma la protesta contro queste scelte, che lacerano l’unità della cultura europea (di cui quella russa, mi dispiace per chi non lo sa, è parte integrante), non è stata abbastanza rumorosa.

Ciò è accaduto anche a proposito del Green Pass o “certificazione verde”.

Una sovrainterpretazione della legge vigente era stata quella del rettore dell’università di Trieste il quale aveva ritenuto che anche gli esami da remoto fossero permessi ai soli studenti che esibivano (sullo schermo del proprio computer!) la “certificazione verde”. Ci fu una protesta studentesca di cui parlò qualche giornale, e il 2 settembre 2021 arrivò la rettifica del ministero dell’Università e della Ricerca, che sembrava aver riportato un minimo di buon senso nelle università. Come riferiva un giornale:

«Gli studenti che possono avvalersi della possibilità di svolgere l’esame universitario a distanza non sono tenuti ad avere il Green Pass. Identiche regole per i dipendenti dell’Università che lavorano in smart working. Com’era ragionevole, la certificazione avrà valore solo per le attività fisicamente in presenza

Ragionevole, no?

Quattro mesi dopo, il 3 febbraio 2022 ricevetti una nota della mia amministrazione con oggetto:

«Adempimento obbligo vaccinale ai sensi e per gli effetti dell’art. 4-ter del D.L. 44/2021, convertitocon L. 76/2021-Articolo inserito dal D.L. 172/2021 e modificato dal D.L. 1/2022». Il testo del decreto legge 1 del 7 gennaio 2022 a cui si fa riferimento si può leggere qui.

A tale nota rispondevo il giorno dopo dichiarando

<<l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinaledi cui al comma 1 dell’art. 4-ter del D.L. 44/2021 convertito, con modificazioni, dalla Legge 76 del 28 maggio 2021 in quanto il sottoscritto svolge la sua intera attività lavorativa (compresi gli esami di profitto), da quando lo stato di emergenza sanitario è stato dichiarato, in regime di lavoro agile (o smart working), con piena soddisfazione (anzi, esplicita richiesta) dei suoi studenti per quanto riguarda la frazione didattica di tale attività. In particolare il citato corso di lezioni di cui sono incaricato si è concluso nel dicembre 2021.>>

Facevo inoltre osservare:

<<Il DL 1/2022, che istituisce il Super Green Pass, richiedente l’avvenuta vaccinazione anti- covid-19 o la guarigione da covid-19, precisaall’art. 1 comma 2, art. 4-quinquies, e in altri passi, che esso è richiesto «per l’accesso ai luoghi di lavoro nell’ambito del territorio nazionale» […] È quindi evidente che la legge non conferisce al datore di lavoro alcun compito di controllo del possesso della certificazione verde rafforzata se non per quanto riguarda l’attività svolta nei luoghi di lavoro, ed è solo a questa che si riferisce l’eventuale «immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa».>>

Il 16 febbraio mi si rispondeva che le mie eccezioni erano «non accoglibili», e mi arrivava la sospensione dal lavoro a partire dal giorno dopo e fino al 15 giugno, a meno che nel frattempo non mi fossi “pentito” (per libero convincimento, s’intende…). In pratica mi si privava dello stipendio fino a un massimo di 4 mesi. Non mi sono “pentito”, ma grazie alla clemenza erga omnes del governo (DL n. 24 del 24 marzo 2022), e non della mia università nei miei riguardi, la sospensione si è poi ridotta a un mese e mezzo. Altri nella scuola, università, sanità ecc. sono stati più sfortunati. Nessun dirigente ha chiesto ragguagli, prima di emettere questi provvedimenti, circa la condizione economica e familiaredei singoli lavoratori penalizzati.

Perché le mie eccezioni non erano state accolte? Perché l’interpretazione del DL 1/2022 adottata dalla mia amministrazione (e probabilmente anche dalle altre università) era che:

«qualsivoglia attività lavorativa, anche da remoto, soggiace al requisito essenziale dell’adempimento dell’obbligo vaccinale».

Anche da remoto. Requisito essenziale. Soggiace. Qualsivoglia.

Ma la situazione non era stata chiarita dal Ministero nel citato intervento a proposito degli esami a distanza?

Nonostante una mia replica dettagliata del 21 febbraio, in cui elaboravo i concetti già esposti nelle precedenti citazioni, l’amministrazione mantenne il provvedimento.

Se si pensava che l’orientamento del Ministero fosse cambiato in 4 mesi, qualcosa di diverso si poteva e, a mio parere, si doveva fare:

  • l’incoerenza andava segnalata;
  • il corpo docente, di tutti i dipartimenti, doveva promuovere un dibattito pubblico su questa irragionevole violazione del diritto al lavoro e alla sua retribuzione;
  • rettori di università e dirigenti vari dovevano quanto meno sollevare la questione, se non anche minacciare le dimissioni nel caso che l’irragionevole violazione fosse stata confermata;
  • almeno fino a esplicita e formale conferma del Ministro (che avrebbe così ammesso il carattere di manovra autoritaria di ciò che era presentato come misura sanitaria), si doveva disapplicare una normamanifestamente assurda.

Eppure niente di ciò è avvenuto.

L’università da fucina di idee e coscienza critica della società si era trasformata (ma la mutazione era in corso da anni) in un’articolazione della catena di comando e di propaganda di governi a loro volta eterodiretti, con in più il servilismo esibito nelle epoche più buie della storia d’Italia e che si sperava non dover più rivedere.

In maniera non diversa vanno considerati i titoli honoris causa assegnati a Anthony Fauci, il primo un dottorato (a distanza), il 13 gennaio 2022 da parte della Sapienza di Roma, il secondo una laurea (in presenza) il 17 giugno 2023 a Siena. Del primo avevo parlato in un’intervista rilasciata a Byoblu (vedi minuto 23) e pubblicata l’11 gennaio, citando il libro di Robert Kennedy jr su Fauci, che era apparso nel novembre 2021 – ma non era certo stato il primo a documentare le gesta del galantuomo (che si era meritato “sul campo” i nomignoli di Dr. Wrong e Dr. Baron of Lies), e in particolare l’intera, disastrosa, gestione dell’emergenza AIDS (fra le altre). Sembra peraltro che il grave precedente costituito dal dottorato romano, e contro il quale non montò alcuna protesta all’interno dell’università, non sia noto a molti di coloro che in questi giorni hanno manifestato contro la laurea senese.

Sarebbe interessante censire i docenti universitari la cui opposizione al Green Pass ha determinato una sospensione dal lavoro (esempi notevoli sono il prof. Camperio Ciani dell’Università di Padova e la prof.ssa Danna dell’Università del Salento). Se la nostra civiltà è destinata a sopravvivere (l’ottimismo sembra al momento attuale fuori luogo), può darsi che un giorno i loro nomi saranno scolpiti su una lapide commemorativa. Comunque vada, sono sicuro che non si tratterebbe di un oggetto ingombrante.

Oracoli

Alla giudice Zanda la Procura contesta di aver ritenuto la vaccinazione anti-covid-19 inefficace, di avere sottolineato la «mancanza di sicurezza» e la «natura sperimentale del siero», e aver sostenuto il contrasto tra l’obbligo corrispondente e l’«autodeterminazione biomedica». Non mi tratterrò su quest’ultimo punto, data la sua totale evidenza.

Secondo la Procura, la giudice avrebbe trascurato che l’OMS, alle date del 30 gennaio,11 marzo e 19 maggio2020, aveva

«valutato l’epidemia da COVID-19 come “pandemia” da contrastare attraverso la scoperta di un vaccino da rendere disponibile alle popolazioni di tutti gli Stati».

Bisogna rileggere questa frase per credere che sia stata scritta in un atto giudiziario, o anche da una persona di media cultura nel XXI secolo.

In essa, infatti, si sostiene che l’OMS avrebbe predetto una «scoperta» garantendone anticipatamente la validità e l’utilizzabilità da parte della popolazione mondiale– e questo, per di più, negli stessi mesi in cui, sulle scoperte effettuate, realmente e non ipoteticamente, dai medici che riuscivano a guarire la malattia, l’OMS mostrava il più irrazionale ed irresponsabile scetticismo– e gli ordini dei medici in Italia attuavano un’ignobile persecuzione che sta continuando anche in questi giorni.

Quindi: arcigno e punitivo scetticismo verso le terapie applicate con successo fin dalla primavera del 2020, da un lato, e credulità illimitata verso una ipotetica scoperta futura, dall’altro. Sarebbe stato difficile dare in così poche parole un maggiore contributo alla sfiducia dei cittadini verso il sistema sanitario.

In una sua famosa argomentazione, Karl Popper ha sostenuto che è impossibile predire il futuro di una società influenzata dalla scienza, perché non è possibile predire scoperte scientifiche che siano realmente tali: si possono conoscere solo le scoperte già avvenute. Certo, a volte, si possono fare previsioni fondate sul ritmo di sviluppo osservato in un certo settore per certi parametri di efficienza. Ma, appunto, ci vogliono prove molto forti, fondate su una chiara esperienza passata, per congetturare che ci saranno progressi di un certo tipo in un certo campo; e anche in tal caso sarebbe estremamente avventato sbilanciarsi a precisare entroquando.

Insomma, dire “Noi risolveremo questo problema perché faremo una scoperta decisiva entro l’anno” è ciarlatanismo puro, e basta a screditare chi lo dice.

Qualcuno potrebbe, ingenuamente, supporre che l’OMS poteva contare su esperienze sanitarie precedenti che rendevano non solo promettenti, ma di imminente completamento i tentativi allora in corso di sviluppare vaccini anti-covid-19. Giusto?

Falso.

Ma non semplicemente falso: la verità era l’opposto.

Il SARS-CoV-2 è un coronavirus, e settant’anni di tentativi di sviluppare un vaccino contro il raffreddore comune, il cui agente patogeno è appunto un coronavirus, sono falliti. Nonostante l’evidente interesse commerciale per un vaccino che contrasti una sindrome così comune da avere “comune” fin nel proprio nome, nessun vaccino contro il raffreddore è stato mai autorizzato.

Per citare un altro esempio molto significativo, sono quasi quarant’anni che risorse immense (nel solo periodo 2000-2015 si stima una spesa di 563 miliardi di dollari) sono state convogliate nella ricerca di un vaccino contro l’HIV, il supposto fattore patogeno dell’AIDS, e decine di annunci di vaccini descritti come promettenti sono apparsi sulla stampa (anche circa presunte “vie italiane” al vaccino – ah già, quello era un vaccino terapeutico, altra contraddizione in termini…), eppure nessun vaccino anti-HIV è ancora stato approvato.

Ma il peggio è che i principali vaccini anti-covid-19 si fondano su una tecnologia innovativa, quella basata sull’mRNA, che non era mai stata provata sul campo. Quindi non esisteva un’esperienza di successo precedente su cui fondarsi. Ricordo quanto da me già detto due anni fa:

  1. prima del 21 dicembre 2020, nessun vaccino basato sulla tecnologia a mRNA era mai stato autorizzato;
  2. prima della stessa data, nessun vaccino contro un’infezione da coronavirus era mai stato autorizzato;
  3. in generale non esistono vaccini contro il raffreddore, che può anch’esso degenerare in soggetti fragili e metterli in pericolo di vita, ma che non è mai stato considerato per questo un’emergenza sanitaria;
  4. nessun vaccino era mai stato sviluppato e autorizzato in un tempo così breve (meno di un anno nel caso della Pfizer, 248 giorni dall’inizio del progetto alla domanda di autorizzazione): il primato precedente era il vaccino per gli orecchioni (parotite), in 5 anni, mentre la media è sempre stata sui 10-15 anni;
  5. «l’efficacia di vaccini su una popolazione dove già circolano varianti del virus su cui sono stati progettati vale, nella migliore delle ipotesi, quanto quella del vaccino antinfluenzale dell’anno prima (lo sviluppo dei vaccini antinfluenzali si basa appunto sulla necessità di rinnovarli anno per anno)».

Insomma, che l’OMS, o qualsiasi soggetto istituzionale, promettesse di risolvere un problema infettivo globale con una «scoperta» da effettuare in meno di un anno, andava classificato e trattato come una millanteria su cui aprire un’inchiesta giudiziaria.

Da un’organizzazione che fonda importanti politiche sanitarie su verdetti oracolaridi questo tipo, sarebbe dovere di ogni governo che veramente abbia cura del benessere della sua popolazione prendere le distanze – altro che aderire ai suoi tentativi di estendere la propria sfera d’influenza.

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