Recensione del libro di Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Roma-Bari, Laterza, 2022

Tenacemente selvaggia

| Irene Starace |

Recensione del libro di Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Roma-Bari, Laterza, 2022

L’autrice del libro ha una lontana parentela, e ha avuto un legame di grandissimo affetto e stima, con Beatrice Gioconda Salvadori, chiamata da tutti Joyce, di famiglia anglo-marchigiana, Lussu in seguito al matrimonio con Emilio Lussu.

Questi sentimenti pervadono tutto il libro, unendosi alla precisione della ricostruzione storica di una vita straordinaria e rendendolo un’opera molto personale. Anche questa recensione sarà molto personale, perché alcune frasi di Joyce citate hanno riecheggiato in me con una forza straordinaria. Ma prima di andare avanti, devo spiegare a chi non lo sapesse chi è stata Joyce Lussu: nata nel 1912 in una famiglia colta, laica e antifascista, fu scrittrice, partigiana, ottenendo una medaglia d’argento al valor militare per la sua partecipazione a missioni di collegamento, attivista femminista, pacifista e anticolonialista e traduttrice originalissima e militante di poesia.

La definisco così perché le sue traduzioni, iniziate con il poeta turco Nazim Hikmet e continuate con i poeti delle colonie portoghesi in Africa, curdi, eschimesi, partivano da “una profonda conoscenza del mondo del poeta, della sua situazione, una consonanza su idee e visioni del mondo” prima ancora che dallo studio della lingua di partenza. Certo, la conoscenza di cinque lingue europee (il francese, il tedesco e il portoghese oltre all’italiano e all’inglese) le sarà stata comunque di grande aiuto. La conoscenza del mondo dei poeti comportava anche la solidarietà attiva: per esempio aiutò Hikmet a riunirsi con la moglie, rispolverando le tecniche di attività clandestine acquisite durante la Resistenza.

La prima sua frase che mi ha colpito è stata quella in cui ricordava la tremenda aggressione subìta dal padre da parte dei fascisti, che costrinse la famiglia all’esilio in Svizzera. Era il 1924 e lei aveva dodici anni. Vedendo il padre (e il fratello, Max, che aveva cercato di difenderlo) massacrati di botte e perfino di pugnalate, il suo pensiero fu che lei, sua madre e sua sorella erano rimaste al sicuro perché donne.

“Decisi di rinunciare ai tradizionali privilegi femminili: se rissa aveva da esserci, nella rissa ci sarei stata anch’io”.

A colpirmi è stata la coincidenza con quello che avevo pensato io a quattordici anni, sia pure in circostanze molto meno drammatiche: che non avrei mai cercato un uomo per farmi difendere o per ottenere rispetto. E così ho fatto. Il coraggio delle donne è davvero un mistero, se pensiamo che nella maggior parte dei casi (anche se non nel caso di Joyce) si manifesta nonostante un’educazione pervasiva alla paura e all’ impotenza. 

Un’altra frase che mi ha colpito è stata la descrizione dell’atteggiamento dei professori di Joyce, alla facoltà di filosofia dell’università di Heidelberg. Il nazismo cominciava ad affermarsi e di fronte alla sua inequivocabile violenza lei, memore dell’ascesa del fascismo in Italia, aveva cercato di metterli in guardia, ma si era scontrata con un’incomprensione totale. Mi ha ricordato l’atteggiamento di tante persone colte durante la finta pandemia, che non hanno capito niente e, quel che è peggio, si sono lasciate fare il lavaggio del cervello. Devo ammettere che ora non credo più all’utilità della cultura come arma per capire meglio il mondo!   

Nel mio caso l’insoddisfazione per la cultura “libresca” non mi ha ancora aperto nuove strade, mentre per Joyce ha significato l’avvicinamento alle culture “altre” e nello stesso tempo è stata una delle cause per cui la sua opera è caduta nell’oblio. Le altre sono state, come scrive Ballestra, “la sua scelta di porsi sempre in una zona alternativa a quello che oggi chiameremmo il mainstream, il suo essere tenacemente ‘selvaggia’ (le viene detto della sua modalità di storica che lavora moltissimo negli archivi ma non sente la necessità di mettere le note), la sua ricerca del nuovo secondo la sua sensibilità, ideologia, tensione etica che sono personalissime e spesso di rottura”.

Perciò i suoi libri sono ormai difficili da trovare, ma suggerisco lo stesso qualche titolo nel caso a qualcuno sia nata la curiosità di conoscerla meglio: Fronti e frontiere, la storia della sua vita durante la Resistenza, tra Francia, Portogallo, Inghilterra e Italia; L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra; L’olivastro e l’innesto, una raccolta di racconti di ambientazione sarda; Il libro Perogno, sulle Sibille dell’antichità e le loro discendenti nella Sardegna del suo tempo; Il turco in Italia ovvero l’italiana in Turchia, sul suo rapporto di amicizia e di lavoro con Nazim Hikmet.  

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