Lettera Aldo Moro

Lettere di Aldo Moro #2

Lettera del 4 Aprile al segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini.

Nel pomeriggio del 4 aprile alla redazione milanese del giornale La Repubblica perviene una lettera di Moro a Zaccagnini insieme al comunicato numero quattro delle Brigate rosse e ad un opuscolo a stampa che contiene la Risoluzione della direzione strategica.

“La lettera di Moro è tale da suscitare, immediatamente, questa nota, concordata in una riunione ristretta di maggiorenti democristiani, che ufficialmente viene affidata al giornale del partito ma che tutti i giornali l’indomani riportano: «Come possono comprendere i lettori, il testo della lettera a firma Aldo Moro, indirizzata all’onorevole Zaccagnini, rivela ancora una volta le condizioni di assoluta coercizione nella quale simili documenti vengono scritti e conferma che anche questa lettera non è moralmente a lui ascrivibile.

I lettori, almeno quelli – pochi o molti – che sanno capire quel che leggono, non erano del parere dei maggiorenti democristiani: anche se era un parere condiviso dai grandi giornali e dalla radiotelevisione. Che approvassero o no il comportamento dell’onorevole Moro, i lettori non potevano comprendere perché si dovesse giudicare «fuori di sé», non in condizione di intendere e di volere, un uomo che non voleva morire e che si rivolgeva al proprio partito affinché lo riscattasse con mezzi che, per quanto elettoralisticamente rischiosi, non attingevano all’impossibile. C’erano, sì, quei cinque morti: quei cinque uomini della scorta massacrati al momento del «prelevamento». Ma, a pensarci bene, quei cinque morti facevano ragione perché ce ne fosse un sesto?

Comunque, la lettera di Moro non sembrava delirante. E non era. ”

Tratto da L’affaire Moro di Leonardo Sciascia

La lettera

Caro Zaccagnini,
scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga, ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive.

Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare.

Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell’immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m’ero tanto adoperato a costituire.
È peraltro doveroso che, nel delineare la disgraziata situazione, io ricordi la mia estrema, reiterata e motivata riluttanza ad assumere la carica di Presidente che tu mi offrivi e che ora mi strappa alla famiglia, mentre essa ha il più grande bisogno di me.

Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io.

Ed infine è doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al disotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui.

Questo è tutto il passato. Il presente è che io sono sottoposto ad un difficile processo politico del quale sono prevedibili sviluppi e conseguenze.

Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile.

Il tempo corre veloce e non ce n’è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi.
Si discute qui, non in astratto diritto (benché vi siano le norme sullo stato di necessità), ma sul piano dell’opportunità umana e politica, se non sia possibile dare con realismo alla mia questione l’unica soluzione positiva possibile, prospettando la liberazione di prigionieri di ambo le parti, attenuando la tensione nel contesto proprio di un fenomeno politico. Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D.C. che, nella sua sensibilità ha il pregio d’indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l’avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco.

Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità e senza avere subito alcuna coercizione della persona; tanta lucidità almeno, quanta può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che sa che cosa lo aspetti. Ed in verità mi sento anche un po’ abbandonato da voi.
Del resto queste idee già espressi a Taviani per il caso Sossi [ed] a Gui a proposito di una contestata legge contro i rapimenti.
Fatto il mio dovere d’informare e richiamare, mi raccolgo con Iddio, i miei cari e me stesso. Se non avessi una famiglia così bisognosa di me, sarebbe un po’ diverso. Ma così ci vuole davvero coraggio per pagare per tutta la D.C., avendo dato sempre con generosità. Che Iddio v’illumini e lo faccia presto, com’è necessario.
Affettuosi saluti


Aldo Moro